Quando la Musica è autentica appartenenza culturale


Recensione di Sergio Staffieri -"CHITARRE" N.266 Aprile 2008 

E' bello ascoltare un disco e rendersi conto delle radici di un musicista. 
Oggi, con la frammentazione dei linguaggi e la confluenza degli stili, spesso è difficile dire dove i tratti armonici e melodici assecondino tendenze in voga, o siano piuttosto espressione di qualcosa di profondo.
Cordova è un chitarrista napoletano, con solidi studi alle spalle compiuti nella propria terra d'origine (con attenzione alla musica colta e a quella popolare) e in Spagna (flamenco), e varie esperienze anche teatrali.

La musica, si sa, è capace di abbattere barriere e distanze: qui è a volte evocazione, a volte ri-evocazione vera e propria di un passato non dimenticato, enunciazione di una propria appartenenza culturale che è quella del Sud.

Accanto a brani a firma di Cordova - "Bona jurnata" (con pacata intro di sola chitarra classica, meditativa, la melodia ripetuta ed enfatizzata con andamento simile al canone di Pachelbel), "Neve e mare" (d'atmosfera, con l'arrangiamento teso a mettere in risalto il lavoro della classica abilmente sovraincisa e tappeti di tastiere quasi prog, dove verso i 3 minuti si hanno salite quasi da arpa), "El rocio" (con tremolo sugli acuti e arpeggio sui bassi, sul modello di "Recuerdos de la Alhambra" di Tarrega), "Ddoje Tammorre" (bell'intro, arpeggi veloci in maggiore, modali) - trovano posto una "Tarantella tradizionale" (con percorsi melodico-armonici che sarebbe bello recuperare e che invogliano a riascoltare certa musica per liuto, fratello maggiore e "colto" della chitarra), "A rumba de' scugnizzi" (riuscito arrangiamento da Raffaele Viviani), "La Catedral" di Augustin Barrios Mangoré (dove si evidenzia l'ottima tecnica di Cordova) e una "Milonga de mis amores" unita alla "Montemaranese".

Una forte rivendicazione delle proprie origini mediterranee e latine, che non può lasciare indifferenti.







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